Il dolore cronico non esiste

Sentiamo continuamente parlare di cancro, diabete e malattie cardiache. Credo sia un bene. Non che ami sentir parlare di malattie, ovviamente, ma se di una cosa si parla, significa che non la si sta spazzando sotto al tappeto facendo finta che non esista. Parlarne probabilmente significa anche più prevenzione, più ricerca.

Ovviamente la percezione che se ne ricava è che tumore, diabete e malattie cardiache siano i grandi mali del nostro tempo. E se vi dicessi che le cose non stanno esattamente così? Si stima che circa 1,5 miliardi di persone al mondo soffrano di dolore cronico. E’ un numero enorme, superiore a quello dei malati di tumore, diabete e malattie cardiache messi insieme. Questo dato ovviamente è una proiezione fatta alla luce di alcuni sondaggi condotti in Europa, negli USA e in Australia e Asia. Riguarda almeno un adulto su cinque, tralasciando i bambini e gli adolescenti. Studi condotti a livello europeo confermano che, il dolore persistente, ha un impatto significativo sulla vita quotidiana, sulla socialità e sulla qualità di vita di chi ne è colpito.

Tra la metà e i 2/3 di chi vive con dolore persistente, vede diminuita la propria possibilità di riposare normalmente, muoversi, partecipare ad attività sociali, guidare un’auto, avere una vita sessuale normale. Senza contare che una persona su quattro dice che i rapporti con gli amici o i familiari si sono diradati o interrotti. Uno su tre è meno capace, o del tutto incapace, di mantenere uno stile di vita indipendente. Uno su cinque è depresso a causa del dolore. Il 17% soffre così tanto, a volte, che vorrebbe morire. Alcuni si ammazzano davvero, ma lo studio non dice quanti. Il 39% degli intervistati ha la sensazione che il proprio dolore non sia gestito adeguatamente e che i medici non considerino il dolore un problema. Il dolore cronico, non volendo considerare l’aspetto psicosociale, perché per ora assumiamo che siamo senza cuore e della sofferenza degli altri non ce ne importi un tubo, ha un impatto economico tremendo.

Ragioniamo come se fossimo Ebeneezer Scrooge: il dolore lombare, da solo, è uno dei fardelli economici più impattanti nei paesi sviluppati. Infatti implica costi per le cure, per il welfare, ma anche per l’assenza dal lavoro e il calo prestazionale di chi si deve sobbarcare le mansioni dei colleghi assenti, perdita di guadagno per le aziende e per il paziente, diminuzione del guadagno e, quindi, delle possibilità di spesa per chi eventualmente si trova nella posizione di dover sostenere il congiunto costretto all’inattività a causa del dolore cronico. Le ricerche mostrano anche come chi soffre di dolore persistente sia più a rischio di perdere il lavoro e spesso non possa lavorare fuori casa. Insomma: stiamo parlando di un problema apocalittico, con risvolti sociali ed economici tremendi.

Quindi credo che la domanda lecita, senza usare parolacce, sia: “Perché il carico patologico globale del dolore cronico è sottovalutato?” Ho cercato un po’ di risposte. Le risposte che ci sono, quando si trovano, fanno rabbrividire. Mi è capitato, a tal proposito, per le mani un documento semplice, ma piuttosto interessante. Un “Fact Sheet”, dal titolo “Unrelieved Pain is a Major Global Healthcare Problem”. Il dolore persistente non è diagnosticato e non è curato perché lo si considera “psicosomatico”, frutto della depressione (sono già diventata una pentola a pressione) che spesso affligge chi soffre di dolore cronico, quindi sprovvisto di una reale causa organica. Non è diagnosticato perché i trattamenti sono considerati futili. Non è diagnosticato perché il dolore è inevitabile. Non è diagnosticato perché i pazienti sono anziani e hanno poco da vivere, o sono troppo piccoli e qualcuno crede ancora che i bambini non avvertano dolore, o che le ustioni di terzo grado siano senza dolore. Principalmente, c’è ancora un’ignoranza inaccettabile rispetto all’argomento. E non lo dico io. Lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Compresi i motivi per i quali il dolore cronico è sottovalutato, che sono fondamentalmente determinati da una serie di pregiudizi da capre (perdonatemi, sono stata gentile fin qui), quali sono gli ostacoli alla valutazione e al trattamento del dolore cronico? Io ho un sospetto, ma vediamo un po’ cosa ci dice il “Fact Sheet” che ho sottomano.

La prima colpevole è, signori e signore, l’ignoranza di cui sopra. Mancanza di conoscenza o di consapevolezza. Questo problema non riguarda solo il povero paziente o la sua famiglia, che magari fanno i fioristi e avrebbero tutto il diritto di non sapere un accidenti di dolore persistente, ma anche i professionisti della salute, quindi quelli che dovrebbero curarlo, il povero paziente e che, si suppone, aggiungo, dovrebbero quantomeno saperne di più di lui. Oltretutto, consideriamo che in Europa, un paziente su quattro con dolore moderato o severo, riporta che il medico curante non ha mai fatto domande circa il dolore, non ha pensato che avesse problemi di dolore e, comunque, anche se ha chiesto informazioni, ci si è soffermato per poco e non ha saputo fornire una soluzione. Che bella notizia. Anche se la disponibilità di analgesici oppiacei per dare sollievo dal dolore oncologico è aumentata persino nei Paesi in via di sviluppo, grazie agli sforzi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il dolore oncologico non è l’unico dolore persistente severo che esista e gli oppiacei non sono gli unici farmaci necessari per trattarlo, per cui la maggior parte delle persone con dolore persistente, resta senza farmaci adeguati in tutto il mondo.

E cosa si fa per cambiare questo stato di cose? Ci si educa. Si studia, si impara. Come? Cambiando i programmi delle Università, per esempio. Leggendo le riviste scientifiche. Andando ai corsi di formazione. Smettendo di considerarsi intellettualmente e moralmente superiori ai propri pazienti, perché una laurea in una professione medico sanitaria non nobilita l’uomo.

E’ un bel problema, direi. E non mi pare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore abbiano avuto un grande successo.

Il Fact Sheet che sto leggendo è del 2004. E’ stato realizzato in occasione del First Global Day Against Pain dalla Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore – IASP e dalla Federazione Europea dei Capitoli IASP – EFIC, con la co-sponsorizzazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Notizia vecchia? In termini di tempo di sicuro. Se ci basiamo sui risultati, francamente i contenuti mi sembrano quantomai validi.

Qualcosa si muove, è vero. Ma c’è ancora uno scollamento tremendo fra pratica clinica e ricerca scientifica. E non è ammissibile. Dobbiamo continuare a parlare di dolore. Non c’è nulla di ignobile o lagnoso nel farlo. Sarebbe come non parlare di cancro, perché non è dignitoso o ci fa venire la tristezza o non è “virile”. A me sembrerebbe semplicemente incredibilmente stupido.

 

Fonti:

www.science.org.au

www.reasearchamerica.org

Unrelieved Pain is a Major Global Healthcare Problem, Fact Sheet, IASP – EFIC

 

 

 

 

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