La mia cura

Una delle domande che mi sento fare spesso è: “Ma tu, come ti curi? E, soprattutto, come stai?” Direi che è una domanda lecita.

Questo blog è stato creato sull’onda dell’entusiasmo, dopo aver capito che il mio benessere, nato dall’aver incontrato l’approccio “biopsicosociale”, multidimensionale e basato sulla scienza, non era passeggero. Il desiderio, quindi, era quello di raccontare a chi soffre di dolore persistente, come me, che quando si segue la via delle ultime scoperte scientifiche, il dolore persistente non equivale più ad una condanna a vita.

Quindi io sto bene. Sto bene secondo me, secondo i miei parametri. Non esiste uno standard di “benessere” uguale per tutti, ma i miei dolori, tutti, di qualsiasi localizzazione, sono diminuiti di intensità o frequenza, mentre alcuni dolori e sintomi sono completamente spariti.

In questo percorso bisogna tenere presente che una delle cose più difficili da imparare è che la guarigione deve essere intenzionale. Non c’è un giorno di grazia in cui ti svegli, liberat😊 improvvisamente da tutte le tue sofferenze. La guarigione è una pratica. Devi decidere che è quello che vuoi fare e farlo attivamente. Devi farne un’abitudine. Perché, purtroppo, ad oggi, la pillola per curare il dolore persistente, non esiste.

Il dolore persistente si può gestire conoscendo la sua “fisiopatologia”: cos’è, come funziona, da dove nasce. Un famoso neuroscienziato/fisioterapista, il dottor Lorimer Moseley, dice: “Know pain, or no gain”. Più o meno: “Conosci il dolore, o non otterrai nessun risultato”: in breve, solo sapendo come funziona il nemico, lo puoi sconfiggere.

Sul dolore la scienza sa molte cose. Per capire bene cosa faccio, ma soprattutto perchè, ci sono due concetti fondamentali da tenere presenti: quello di neuroplasticità e quello di sensibilizzazione centrale. Contrariamente a quello che si può pensare, il sistema nervoso non è immutabile: si adatta ai cambiamenti interni al corpo e nell’ambiente circostante. La capacità del cervello e del sistema nervoso di adattarsi e cambiare è chiamata neuroplasticità. Noi tutti sperimentiamo quotidianamente forme utili di neuroplasticità: imparare a suonare uno strumento, andare in bicicletta, ricordare la strada per tornare verso casa… La neuroplasticità presenta anche degli svantaggi, e lo sviluppo del dolore cronico potrebbe essere un esempio. In questo caso la neuroplasticità rende il cervello e il sistema nervoso ipersensibili e iperattivi a stimoli, sensazioni, movimenti e attività normali, che non dovrebbero causare nessun dolore, è possibile quindi avvertire stimoli, movimenti o attività innocue come sensazioni dolorose. Questo tipo di neuroplasticità potrebbe essere sottesa dalla cosiddetta “sensibilizzazione centrale”. La sensibilizzazione centrale è un fenomeno fisiologico caratterizzato da diffusa ipersensibilità che deriva da una risposta aumentata nei neuroni centrali all’attività del recettore. Un sistema nervoso ipersensibile e cellule immunitarie (chiamate “glia”) rilasciano sostanze chimiche che aumentano il numero di connessioni e segnali che sfrecciano nel cervello e nel midollo spinale. A causa di questo “volume alzato”, il dolore può essere avvertito durante attività e movimenti che normalmente non dovrebbero provocare dolore. Il dolore può anche essere avvertito senza muoversi, in qualsiasi parte del corpo. La sensibilizzazione centrale spiega perché le persone con dolore persistente possono provare dolore quando una radiografia o una scansione sembrano “normali”. La buona notizia è che si può utilizzare la neuroplasticità per riprogrammare il modo in cui il sistema nervoso risponde ai segnali di pericolo e come il cervello interpreta questo come dolore. Lo scopo della “gestione del dolore” è ridurre la sensibilizzazione centrale, diminuire il dolore, favorire il movimento normale e l’attività quotidiana e ristabilire il benessere. Mi scuso per la premessa biblica, ma come dicevo mi serve per dare un senso a quello che faccio.
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Vado in palestra due volte alla settimana (e anche a correre, per ora con poca competenza). Dicendo questo, non immaginatemi in mano a personal trainer senza competenze sul dolore persistente. Ho uno strenght and conditioning coach che si confronta con il mio fisioterapista. Non pensiate nemmeno che faccia “ginnastica per vecchiette”. Tutt’altro. Sono diventata una discreta scaricatrice di porto. Ma ho cominciato da zero (Giacomo Leopardi level), con il movimento somministrato scientificamente, con la precisione di un farmaco. Il movimento aiuta ad abbassare il “volume del dolore”, permettendo di accedere alla “farmacia interna” del corpo, facilita i sistemi inibitori del dolore, aiuta a regolare il sonno, riduce lo stress, migliora l’umore e la funzione immunitaria. Il movimento e l’esercizio fisico agiscono come i farmaci, se usati bene. Il movimento permette di gestire il dolore sfruttando la neuroplasticità per riprogrammare e ridurre i segnali di pericolo nel cervello e nel sistema nervoso iperattivi. Certo, è fondamentale procedere a “piccoli passi”: spesso i tentativi condotti in autonomia o senza l’aiuto di persone competenti, si risolvono in riacutizzazioni del dolore e in fallimenti.
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Cerco di avere un’adeguata igiene del sonno (sì, proprio quelle cose lì… camomilla, musica classica, leggere un libro…). L’insonnia può giocare un ruolo importante nel dolore persistente, perché nelle persone con dolore cronico spesso si manifesta l’impossibilità di accedere al terzo e quarto stadio della fase NREM di sonno profondo, con il risultato che queste sperimentano un senso continuo di stanchezza, sonnolenza, affaticamento e sonno non ristoratore. Il neurologo mi aveva detto: “Lei deve dormire, il suo corpo non riposa da anni”. Ritornare a dormire ha effettivamente cambiato le cose e i farmaci che mi ha prescritto il medico (non benzodiazepine, quindi non comuni sonniferi, che non è detto permettano di arrivare a questi stadi NREM) mi hanno aiutato molto.
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Cerco di mangiare meglio che posso (cerco, ammetto, non è il mio forte). Una buona alimentazione è vitale per la salute e il benessere generale. Non dovrebbe quindi sorprenderci che l’alimentazione possa influenzare il dolore persistente. Ogni volta che mangiamo, cambiamo la chimica del nostro corpo. Cerco, come sempre, di semplificare. La dieta corretta può aiutare a sostenere il sistema immunitario facendolo “accendere e spegnere” al momento giusto, mentre una dieta povera può alterare il sistema immunitario, che quindi agisce in modo anomalo e può contribuire a un’infiammazione persistente di basso grado. Perché ci interessa così tanto l’infiammazione se stiamo parlando di dolore cronico e di cibo? Le molecole prodotte dall’attività del sistema immunitario, normalmente associate a infezioni, infiammazioni e lesioni, stimolano le terminazioni nervose (nocicezione). L’informazione viene inviata al midollo spinale e al cervello per essere presa in considerazione, dove l’esperienza del dolore può o non può essere generata (ma probabilmente lo sarà). Come una dieta sana aiuti direttamente il sistema immunitario non è ancora del tutto chiaro, tuttavia, alcune prove suggeriscono che le carenze in vari micronutrienti – come zinco, selenio, ferro, acido folico e vitamine A, B6, C ed E, possono alterare la funzionalità del sistema immunitario e causare un’infiammazione cronica che può determinare e sostenere il dolore cronico. Il miglior approccio dietetico per aiutare il sistema immunitario, e quindi aiutare a ridurre l’infiammazione cronica, di conseguenza il dolore, è quello di eliminare i cibi infiammatori e adottare cibi anti-infiammatori. Questi alimenti includono molti dei principali alimenti della dieta mediterranea, frutta, verdure a foglia verde scuro, noci, legumi e cereali integrali. Le prove scientifiche suggeriscono che gli alimenti ricchi di un gruppo di antiossidanti noti come polifenoli possono avere un effetto antinfiammatorio che aiuta a lenire e prevenire riacutizzazioni dolorose. I polifenoli si trovano in molte verdure e in molta frutta, e in altri alimenti quali i semi e i cereali integrali. I polifenoli si trovano nelle verdure dallo spiccato colore verde e a foglia, nonché nei frutti con colorazione tendente al rosso. Inoltre il tè verde è una risorsa importante di polifenoli, raccogliendo in un solo alimento più tipi di composti fenolici. Seguire la stagionalità e scegliere verdura e frutta colorata permette di fare un pieno di polifenoli. Alcune ricerche hanno suggerito che gli acidi grassi omega-3, che si trovano nell’olio d’oliva, olio di semi di lino e pesce grasso (come salmone, sardine e sgombro), possano aiutare a controllare l’infiammazione. L’ideale sarebbe evitare, per quanto possibile, il cibo spazzatura, con basso valore nutrizionale, pane bianco, pasta non integrale e altri alimenti ricchi di carboidrati raffinati. I pazienti con dolore cronico dovrebbero preferire una dieta ad alto apporto proteico, questo per alcuni motivi principali: gli analgesici endogeni (endorfine, dopamina, serotonina e acido γ-aminobutirrico –GABA), sono derivati di proteine, inoltre molti alimenti proteici, come pesce e verdure verdi, contengono agenti anti-infiammatori. Se vuoi indicazioni ed un piano alimentare che ti possa aiutare ad alleviare e gestire i sintomi, confrontati con un nutrizionista specializzato per il tuo problema, sicuramente ti aiuterà molto.
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Ho chiacchierato del mio dolore con uno strizzacervelli per aumentare la mia autoefficacia.
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Assumo farmaci specifici per il SNC.
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Ogni pezzo del puzzle è fondamentale.
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Detto ciò, ogni persona è diversa. Quello che funziona per me, non è detto funzioni per tutti. Servono le opportune “customizzazioni”. Esistono altre opzioni, che non uso quotidianamente, ma che ci sono e sono utili: la meditazione, l’ipnosi, lo yoga, un nuovo hobby… imparare modi per gestire la risposta allo stress, i sentimenti di angoscia e ridurre la concentrazione sul dolore persistente è vitale.
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Quello che mi preme si sappia è che la Pain Science esiste, come chi la conosce. E chi la conosce ci può seriamente essere d’aiuto.

 

Fonti:
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