Il dolore cronico

Esistono vari sistemi per catalogare il dolore, ma per chiarezza di informazione, mi rifarò alla classificazione dell’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (The International Association for the Study of Pain – IASP).

Generalmente il dolore cronico, in termini di durata, viene definito “all’opposto” del dolore acuto, quindi, volià.

Ricorda, questa contrapposizione inganna un po’: il dolore cronico non è una versione prolungata del dolore acuto. E’ proprio tutta un’altra cosa. 

IL DOLORE SECONDO LA DURATA

Il dolore acuto (infiammatorio)

Il dolore acuto ha una durata limitata nel tempo e si verifica dopo un intervento chirurgico, un trauma o altre condizioni (infezioni, infiammazioni…). Il dolore acuto tende a diminuire nella maggior parte dei casi con la normale e naturale riparazione dei tessuti,  la sua durata riflette spesso il tessuto coinvolto (ad esempio infortunio muscolare vs frattura ossea) e  sono comuni prolungamenti da sette a oltre novanta giorni[1]; ha comunque una durata inferiore ai tre mesi. Il dolore acuto agisce come un avvertimento al corpo per cercare aiuto o per proteggersi finché i tessuti non si siano riparati, assolvendo ad un’importante funzione biologica, evitando l’estensione del danno. Sebbene di solito migliori mentre il corpo guarisce, in alcuni casi potrebbe non farlo, trasformandosi in dolore cronico/persistente.

Il dolore cronico/persistente

Il dolore cronico permane oltre il tempo previsto per la guarigione a seguito di interventi chirurgici, traumi o altre condizioni (infezioni, infiammazioni…). Può anche esistere senza che ci siano lesioni evidenti, cioè il dolore cronico non necessariamente si vede in una radiografia o in una scansione (TAC o risonanza), infatti in caso di dolore persistente, una volta escluse patologie serie quali cancro o disturbi neurologici, le indagini diagnostiche quali radiografie e scansioni (TAC o risonanza) non sono raccomandate.

Anche se il dolore cronico può essere un sintomo di un’altra malattia, può costituire una malattia a sé stante.

Se il dolore permane da un tempo superiore rispetto a quello necessario per la guarigione (generalmente questo tempo è fissato in tre mesi) può essere ritenuto cronico[2].

Il dolore cronico è definito anche come un dolore persistente che “disturba il sonno e la vita normale, cessa di assolvere ad una funzione protettiva, mentre degrada salute e capacità funzionali”. Quindi, a differenza del dolore acuto, non ha nessuna funzione adattiva.[3]

Condizioni come l’emicrania, l’osteoporosi, l’artrite e altri disturbi muscoloscheletrici (quali mal di schiena, collo…) sono patologie croniche ben note.

Tuttavia, esistono altre condizioni di dolore cronico che non sono comuni o ben conosciute. Includono le condizioni relative al dolore nervoso, al dolore pelvico, al dolore addominale, al dolore facciale e al dolore postoperatorio persistente.

Ti ho spiegato cos’è il dolore cronico, ma questa spiegazione non è sufficiente per capirlo bene. Ti chiedo ancora un po’ di tempo. Ci sono altre informazioni, forse ancora più importanti, che devi avere, che trovi nella pagina “Sensibilizzazione Centrale”. Ti prego, leggile. Se sei stufo, leggi a puntate. Ma potresti trovare un po’ di spiegazioni.

 

Fonti:

[1] The ACTTION–APS–AAPM Pain Taxonomy (AAAPT) Multidimensional Approach to Classifying Acute Pain Conditions

Kent ML, Tighe PJ, Belfer I, Brennan TJ, Bruehl S, Brummett CM, Buckenmaier CC 3rd, Buvanendran A, Cohen R, Desjardins P, Edwards D, Fillingim R, Gewandter J, Gordon DB, Hurley RW, Kehlet H, Loeser JD, Mackey S, McLean SA, Polomano R, Rahman S, Raja S, Rowbotham M, Suresh S, Schachtel B, Schreiber K, Schumacher M, Stacey B, Stanos S, Todd K, Turk DC, Weisman SJ, Wu C, Carr DB, Dworkin RH, Terman G. PubMed #28482098

[2] Turk, D.C.; Okifuji, A. (2001). “Pain terms and taxonomies”. In Loeser, D.; Butler, S. H.; Chapman, J.J.; Turk, D. C. Bonica’s Management of Pain (3rd ed.).

[3] Chapman CR, Stillman M. Pathological pain. In: Kruger L, ed. Pain and Touch. 2nd ed. New York: Academic Press; 1996:315-342.